Catanzaru Cuntu e Cantu
Catanzaru Cuntu e Cantu
adattamenti e regia Pino Michienzi
linguaggi musicali Angelo Pisani, Sergio Schiavone, Bruno Tassone, Paraphone
audio Nello Zangari
luci Francesco Olivadoti
“Io le voglio un gran bene a quella città di Catanzaro, e piacevolmente mi ricordo sempre di tante persone che vi ho conosciuto piene di cuore e di cortesia, ingegnose, amabili, ospitali…”.
Con questo incipit di Luigi Settembrini ha inizio lo spettacolo “Catanzaru cuntu e cantu” che il Teatro del Carro ha portato in scena al Complesso San Giovanni martedì 18 dicembre 2008, ospite dell’Assessorato alla Cultura di Catanzaro e inserito nella rassegna “Castellaria” promossa dall’Assessorato al Turismo della Regione Calabria.
“E’ un omaggio alla città – scrive Pino Michienzi nella brochure – con i suoi poeti, con gli stranieri di passaggio, ccù ‘a ‘mbojina dei mercati, ccù i cunti e ccù i canti, con i popolani e i nobili, con l’esaltazione dell’amore, con la satira e le favole. Questo spettacolo, cucito da un catanzarese dei vicoli Agricoltori “chi tessa arricama cusa e scusa”, è il sogno fantastico di una città dove i genti d’a ruga vivevano con le porte sempre aperte e sempre pronte a offrire ospitalità e aiuto.
Una città dove non ci si sentiva mai soli.” E’ un percorso ideale nella città della memoria e del sentimento, con i poeti e gli scrittori nati e vissuti a Catanzaro e di altri ancora che ne hanno solo scritto, ma che hanno saputo raccontare l’animo di questo popolo in cui l’ironia ha un ruolo primario e dimostra quanto questa gente, da sempre, abbia innata quella carica di fatalismo che la rende anche audace e trasgressiva. I poeti catanzaresi, portavoci di un modo di vivere canzonatorio che a volte sfocia nella beffa, lo spiega intelligente, intrigante, sagace, che sa immediatamente cogliere l’aspetto più vulnerabile del mondo e che affonda il fioretto dello scherno, concedendosi perfino il lusso della censura.
Ma cosa sarebbe la vita senza questo sale! Sembra ironizzi il poeta. C’è in questa gente una forza instancabile di critica, nel bene o nel male, non importa. “Hava ‘na gargia!” si dice a Catanzaro. L’accaduto è reso pubblico, vivisezionato, giudicato. E i catanzaresi spesso esagerano anche nelle conclusioni, come se a loro non toccasse la stessa sorte o non fossero esenti da critiche. Nel bene o nel male. Dai testi, cuciti per essere una “passeggiata” per strade e vicoli, si evince come la vita scorra in città senza barbarie, ma con la consapevolezza di doversi comunque difendere da eventuali prevaricazioni, e che costituisce quella sana diffidenza, sempre all’erta, di un popolo storicamente sofferente, ma che grazie al suo carattere gioioso e irridente, riece a superare anche i momenti più difficili. E proprio i nostri pensatori “rugali” ne testimoniano il segno fortemente burlesco, lasciando alla storia pagine indimenticabili dipinte con i colori del giallo e del rosso di Giangurgolo, famosa maschera catanzarese della commedia dell’arte. E in chiave giangurgolesca va interpretato questo spettacolo, che raccoglie ‘a dirittezza, l’autocompiacimento, l’ignoranza, l’arguzia di un popolo che, nonostante tutto, è da amare.